La Firenze di Giovanni e Telemaco Signorini

Un’esposizione nata grazie alla scoperta di un inedito carteggio tra Giovanni e Telemaco Signorini, un percorso curato da Elisabetta Matteucci e Silvio Balloni che svela una Firenze d’altri tempi, vere e proprie cartoline d’epoca dalla marcata fiorentinità che fermano nei quadri il tempo di una città non più riconoscibile nel presente, ai tempi non ancora capitale d’Italia. La mostra “La Firenze di Giovanni e Telemaco Signorini”, in programma a Palazzo Antinori fino al 10 novembre 2019, ha il merito di accostare per la prima volta, l’uno accanto all’altro, i quadri dei due pittori fiorentini, celebrando l’arte e lo spessore critico del padre Giovanni soprannominato il “Canaletto fiorentino”, artista prediletto dal Granduca Leopoldo di Lorena, e del figlio Telemaco grande pittore dell’Ottocento che seguì le orme dei macchiaioli. La mostra, sala dopo sala, consente di mettere in luce il grande fervore culturale della Firenze ottocentesca, svelando un clima particolarmente fecondo quello all’interno del quale i due artisti lavorarono, accompagnati da quelle personalità che la storia, negli anni successivi, avrebbe celebrato come grandi intellettuali del calibro di Giovan Pietro Vieusseux, Pietro Giordani, Niccolò Tommaseo, Diego Martelli e Carlo Lorenzini in arte Collodi.
Otto sezioni che partendo dai ritratti degli artisti illustrano una Firenze persa nel tempo. Oltre sessanta dipinti tra i più celebri dei due pittori che in dialogo con altri maestri loro contemporanei, consentono di rivivere una delle stagioni più fertili della cultura toscana. La mostra allestita ai piani nobili di Palazzo Antinori, permette al visitatore di addentrarsi nelle sale ed esplorare i saloni storici dell’edificio della famiglia fiorentina da sempre impegnata nella viticoltura, un doppio percorso quindi che si snoda all’interno di un contenitore di pregio, svelando così l’anima di una città e dei piccoli borghi vicini, come le strade e la piazza di Settignano, o il colle del Piazzale Michelangelo, allora ancora veste bucolica di metà Ottocento.
Testo e foto a cura di Simone Teschioni
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