“Quello che non ho”, Neri Marcorè alla Pergola con il Teatro Canzone

Non sempre l’espediente del teatro canzone permette di riuscire a sviluppare al meglio lo spettacolo, facendo arrivare nitido il messaggio che di fondo muove l’opera rappresentata. Il rischio di cadere ai giorni nostri nella banalità di un concerto/cabaret privo di senso è sempre alta e troppi sono gli attori che spesso si trovano davanti ai timidi applausi di un pubblico poco appagato.

Non è questo però il caso che lega Neri Marcorè al suo spettacolo “Quello che non ho”, che dopo essere passato nelle stagioni precedenti dall’esperienze musicali firmate Beatles e Giorgio Gaber, fa proprie le musiche di Fabrizio De Andrè presentando un lavoro che appoggiandosi certo sul “teatro canzone”, si manifesta però nella vocazione piena del “teatro civile”, come sottolineato anche dal regista Giorgio Gallione, responsabile anche per la drammaturgia di questa produzione firmata dal Teatro dell’Archivolto. Affiancato da tre musicisti che lo accompagnano nell’interpretazione dei brani del poeta genovese, Neri Marcorè mette in scena una riflessione che vuol essere non solo poetica, ma soprattutto politica, analizzando parte degli “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini, per arrivare a sviluppare una dialettica che spazia da argomenti a sfondo antropologico a tematiche ambientali legate ai problemi del piccolo mondo inteso come lo “Stato Italia” in parallelo al resto del Pianeta. Un viaggio che ci porta a toccare con mano il “Sesto Continente”, formato interamente dalla plastica che galleggia nell’oceano nei pressi delle isole Hawaii, la cui superficie misura due volte e mezzo l’Italia, per poi arrivare alle soglie dell’inferno vissuto in Congo caratterizzato dai problemi nati a seguito dell’estrazione del Coltan, mostradoci infine un futuro dominato da evoluti roditori, specchio di molteplici realtà che ci vedono tristemente protagonisti.
In questa analisi della cultura dei “beni superflui” si alternano così le domande dei grandi uomini del passato che attraverso la satira e le canzoni di De Andrè, permettono di  legare fra loro i testi arrivando alla tanto attesa domanda finale: “com’è che non riusciamo più a volare?”. Sarà proprio lo sforzo di ripartire da una profezia errata dello stesso Pasolini, legata alla presenza delle lucciole in città, che ci permetterà di tornare a fare della speranza, l’acqua di sorgente per un nuovo futuro, in cui è ancora possibile meravigliarsi davanti alla magia di un semplice gioco di luce.

“Come può un artista, un intellettuale, raccontare a chi non l’ha vissuto, cosa è stato il nostro tempo? Una volta chiesero a un direttore d’orchestra, Furtwangler: “Quanto dura il concerto di Mozart che lei dirigerà stasera?” E il direttore rispose: “Per lei dura quarantadue minuti, per chi ama la musica dura da 300 anni”.
Stiamo producendo orrori e miserie, ma anche un tempo fatto di opere meravigliose, quadri, musica, libri e parole. Eredità e testimonianza della civiltà umana sono le frasi di Leonardo “seguiamo la fantasia esatta”, di Mozart “siamo allievi del mondo”, di Rameau “Trovo sacro il disordine che è in me”, di Monet “voglio un colore che tutti li contenga” , di Fabrizio De Andrè “Vado alla ricerca di una goccia di splendore”, fino alle utopiche provocazioni di Pasolini “E’ venuta ormai l’ora di trasformarsi in contestazione vivente”.

Testo a cura di Simone Teschioni
©Levento


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