Toni Servillo porta in scena “Elvira”

Le sette scene di Brigitte Jacques, tratte da “Elvire Jouvet 40” che riportano le lezioni di Louis Jouvetsull’interpretazione del ruolo di donna Elvira all’interno del IV atto del Don Giovanni di Molière, sono lo scenario in cui si cimenta Toni Servillo in veste di regista e di attore nel suo “Elvira”, tradotto da Giuseppe Montesano, in una coproduzione firmata Teatro d’Europa, Teatri Uniti e Piccolo Teatro di Milano. Le prime file della platea diventano nel corso dell’opera spazio vivo in cui la scena si sviluppa, in un continuo coinvolgimento tra palco e pubblico, che permettere di infrangere la barriera del sipario e far entrare lo spettatore in sala direttamente dentro la storia e il rapporto registra/attrice, che va crescendo di scena in scena. Un percorso fatto di parole legate alle prove del monologo di Elvira, il perdono e l’addio a Don Giovanni, in una Parigi datata 1940. In questi insegnamenti di Louis Jouvet incarnati dalla presenza scenica di Servillo, assistiamo non solo ad uno scambio dialettico sulla creazione del personaggio e sull’interpretazione fisica ed emotiva del ruolo di Elvira/Claudia, in arte Petra Valentini, ma ad una vero e proprio parallelo sulle contraddizioni figlie di questo mondo e della società che lo abita. Contraddizioni che prendono forma all’interno di una scenografia essenziale e semplice, composta per lo più da copioni, sedie e dalla scivania su cui poggia il testo dell’opera di Molière illuminato da una luce soffusa, quasi a significare che lo scopo di questa scelta, come sostenuto dallo stesso Servillo, sia quello di voler portare lo spettatore “all’interno di un teatro chiuso, quasi a spiare tra platea e proscenio“. Lo spettacolo originario, come riportano le cronache non andò mai in scena a seguito dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e delle conseguenze che il conflitto portò con se: a Claudia che avrebbe interpretato il ruolo di Elvira, fu proibito di recitare la parte in quanto l’attrice era di confessione ebraica, mentre di Louis Jouvet sappiamo solo che partì per un esilio volontario, che durò tutta la guerra.
Dopo il tutto esaurito delle repliche milanesi, Servillo si conferma anche questa volta maestro del palcoscenico, portando alla luce la bellezza di un teatro nudo, nella sua purezza e vocazione dell’essere registi, attori, ma soprattutto uomini.
Testo a cura di Simone Teschioni
©Levento