Filippo Timi in “Una Casa di Bambola”

Scritto durante un soggiorno in Italia nel 1879 da Henrik Ibsen, “Casa di Bambola” vede all’opera un molteplice Filippo Timi diretto da Andée Ruth Shammah, affiancato da Marina Rocco nei panni di Nora. Nel recitare questa commedia triste, ossimoro con il quale la stessa si presenta sulle locandine, incontriamo sul palcoscenico l’alternarsi dell’immagine della famiglia perfetta associata alla figura del marito in carriera, a quella della donna un po’ illusa e viziata dedita alla cura dei figli, regina di una prigione dorata nella quale lei stessa vive, ignara di ciò che realmente ne è l’esistenza al di fuori. I colori nell’opera simboleggiano gli stati d’animo e i caratteri dei protagonisti: non a caso tutte e tre le figure maschili (Torvald, il dottor Rank e Krogstad), interpretate in modo emozionante da Timi, vestono colori poco chiari che inducono a pensare alla professionalità e alla responsabilità di un impiego, dal direttore di banca al dottore amico di famiglia. Il rosa invece colore dominante sulla scena è presente non solo nel vestito di Nora, ma lo ritroviamo anche negli arredi della stanza in cui si svolge l’intera vicenda, creando così un tutt’uno con la protagonista e un contrasto netto nei ruoli sociali rappresentati dai due sessi (tema molto caro all’opera di Ibsen). L’episodio che mette in moto la serie di eventi nel quale la trama si snoda è l’incontro di Nora con il procuratore Krogstad. Il fantasma di vecchi impegni economici sottoscritti dall’ingenua protagonista per amore del marito e la possibile perdita del lavoro da parte di Krogstad, suo creditore, mettono in moto un’altalena di situazioni in cui la figura della donna fa fatica ad affermarsi. È solo attraverso il tradimento delle illusioni e l’infrangersi delle certezze di una vita passata sotto una campana di vetro, che i ruoli dei protagonisti si capovolgono facendo emergere la criticità di questi rapporti legati da una menzogna. Il destino rappresentato in scena da una donna vestita di nero, bussa così alla porta di questa casa di bambola sotto forma di lettera, lasciando aperto uno spiraglio quel tanto che basta, per avere coscienza del vero e permette all’uccellino rosa di prendere il volo.

TORVALD: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme…
NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.
TORVALD: Ma io ho la forza di diventare un altro.
NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola.”

Testo a cura di Simone Teschioni
©Levento


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